Comunicato da Grenoble, il sabotaggio continua.

Metropoli di Grenoble: Attacchi coordinati contro antenne-ripetitori per le telecomunicazioni

Ai margini dello sciopero dei lavoratori, istanze di chi un padrone non ce l’ha

In 9 anni di riflessioni sulle crisi liberali di nuovo millennio,

è come se il precariato abbia mancato,

come neo-classe ma anche situazione,

il rifiuto del riformularsi entro il capitalismo stesso

ed insieme la diserzione dai servizi dello Stato.

 

L’uomo indebitato come si pone nei confronti di questa nuova costituzione?
Lontano parente dell’operaio sociale rivoltato nella propria soggettività dalla ristrutturazione dei tardi anni ’70, l’uomo indebitato è anzitutto impresa (di se stesso, come ammoniva la pubblicità).
Ogni essere umano ha adottato lo statuto dell’impresa a misura della propria vita. Il progressivo erodersi del welfare ha consentito (obbligato) l’assimilazione a tale forma di riproduzione sociale.
L’insorgere dell’uomo impresa rimanda direttamente allo sfruttamento da parte della finanza delle aree industriali dismesse: come queste furono oggetto di operazioni sempre più raffinate, procedendo dalla gestione del territorio in modo mafioso per giungere alle speculazioni finanziarie sui mutui che le gravano. Parimenti, il corpo operaio dismesso, sviò la propria autovalorizzazione.
La limitazione conseguente all’assoggettamento alla costituzione dell’impresa, però rende tale lavoro immediatamente produttivo di valore catturabile (e catturato) dal capitale. Da qui, due prime riflessioni:

– esiste una costituzione materiale che si può ravvisare nello statuto dell’impresa che annega, nella captazione di valore e nella negazione della vita, la produzione del comune;

–  la creazione di ricchezza consegue alla precarizzazione e all’indebitamento dell’uomo impresa.

Le modalità concrete di sfruttamento della vita messa al lavoro impediscono (sono funzionali ad evitare che) la configurazione di istituzioni del comune.
Non pare quindi possibile la realizzazione del comune attraverso il recupero di norme (di legge o “consuetudinarie”) che risultano poste proprio al fine dell’assoggettamento della produzione alla legge del valore.
Porsi all’interno di un sistema normativo che presuppone l’esistenza di merci e funzionale allo scambio tra proprietari (meglio tra creditori e debitori) comporta l’immediato reciproco riconoscimento, all’interno proprio di quella legge del valore che opprime il comune.
Ogni stratagemma che riveli capacità di sottrazione dal rapporto di capitale mediante l’attualizzazione dell’autonomia potenziale della forza lavoro va accolto per procedere verso tale orizzonte.
Strutturare l’antagonismo del precariato (imprenditore del proprio nulla) verso la disponibilità degli strumenti “d’impresa” e delle relative norme che li disciplinano appare unica via verso questa transizione (che peraltro, proprio per la configurazione delle modalità attuale di sfruttamento appare già in atto).
Predicare il diritto all’insolvenza, l’ammissione ai benefici delle procedure concorsuali anche per i microimprenditori, imporre moratorie sul debito di studenti e precari, è da un lato comprensione della produzione diretta di ricchezza da parte delle singolarità, dall’altro -consentendo autonomia e autovalorizzazione delle stesse- mina il procedimento appropriativo e di riconducibilità della vita al capitale e con esso lo stesso statuto dell’impresa.
La ributtante negazione di sé che fu il farsi impresa non è stata rinuncia al desiderio, ma escamotage di sopravvivenza che l’operaio indusse al capitale e non viceversa (pur nello sviamento della potenza operaia).
Attraverso questo mezzo persiste (e si impone) la capacità della moltitudine, fondata sul comune, di eccedere i limiti del potere.”
[paragrafi estrapolati da http://www.uninomade.org/quale-costituzione-per-luomo-indebitato/, 10.2012]
°

Questo immaginario non mostrava già il limite materiale in cui il precariato si riconosceva?

Entro cui la rivendicazione insolvente si protendeva come uno sbrocco professionale,

ossia l’unico sbocco di una sopravvivenza dipesa dai blocchi infrastrutturali.

E dove sarebbero i frutti di questa ricerca di post-autonomia

pienamente inscritta nelle prescrizioni culturali di bilanci amministrativi?

Quali gli strumenti di un precario faber,

quali i leit motiv di un precario sapiens,

quali i sogni sottratti al pozzo di un curriculum vitae?

Quali i segni dell’abbozzarsi di un qualche soggetto sociale,

quasi quasi new-proto-rivoluzionario, ma soprattutto anche no?

°

Lo stesso portale uninomade, “movimentatosi” nella crisi delle specializzazioni disciplinari di area umanistica, non si è in fondo dimostrato propriamente un riferimento di poi tanta contestazione degli strumento del lavoro intellettuale, per dire.

Sarà perchè i ruoli istituzionali stessi non vengono nemmeno, ancora, messi in discussione?

Allora diciamolo chiaro.

Data la rinnovata spoliazione dei fasti d’accademia e dai privilegi della ricerca, cosa ci sarebbe potuto essere di emancipativo nel prendersi il caffé progettando di rientrare nel mercato culturale dalla porta sul retro, per giunta come se si trattasse d’insubordinazione?

E quali sarebbero i margini d’autonomia nel fare ciò, se mentre ci si aggrappa all’indignazione e si paventa stupore proprio là dove il liberismo aveva già ampiamente pavimentato le stanze della cultura contemporanea con fissativi di turistificazione e smalti gentry targeting, non si riconosce quanto il proprio futuro resti proiettato entro quegli stessi modelli?

L’autonomia, quella operaista, in Italia, anche da queste sue eredità nepotili e terziarie, confermava di scommettere sulla fideizzazione alla logica sistemica in un’astrazione per la verità troppo più lenta a rendere conto di sé rispetto all’accelarazione dei processi produttivi, tanto che mi pare nessuna autonomia sia mai stata ambita dalla sua propaganda per ciò che l’etimo della parola intenderebbe, di fatto.

Tantomeno entro simili interpretazioni della crisi finanziaria, valutata come incombere dell’incubo dell’austerità, da cui il risveglio di quelle coscienze che si scoprono soporizzate fin dagli standard dei test attitudinali e ingannate dalla baronia che ne seleziona messali, poteva soltanto, a quanto sembrava  ripensarsi come necessità di ogni singolx di “essere impresa” da sé e per sé.

O meglio, non soltanto lo poteva, ma per giunta(!), illudendosi, questa pseudo-coscienza riscoperta, che l’atomizzazione subita, la devastazione sociale entro cui questa mantiene chiuso il circolo del precariato, consistesse allo stesso tempo in “escamotage” sulla via di una novella “istituzione comune”  Ma “comune” in che senso, scusassero?

Tutto ciò, nella lotta contro la crisi, si è configurato a mo’ di paradosso integrativo di una grave carenza non già di finanziamenti, ma di conflitto.

Pregno di realpolitik, questo filone polemico stava solo cercando di ritrovare un valore per gli assegni nulli incassati dalla propria proprietà intellettuale.

Non poteva essere avulso dall’appoggio al riformismo,

né rinunciare, così devoto, alla beneficienza partitica..

Perciò, lo si può ben lasciare sulle false barricate.

Anche laddove l’iimpresa veniva criticata, abbiamo quindii assistito all’insorgere dell’uomo impresa, ossia al rimodellarsi professionalmente secondo i codici del modello dominante.

play it yourself *Jolie Jolly *

***

Ho ripreso a giocare, a giocarmi, a rischiare!

A concedermi di cambiare, che sia in meglio, di male in peggio, o soltanto una variabile

infinitesimale, a volte non so nemmeno io che… ma lascio

a voi l’ardua sentenza, che tanto proseguo,

guai a chi mi trattiene, scommetto tutto su di me!

Non posso attendere mosse che non mi appartengono,

sottostare alla regola fissa, addomesticarmi ad una noiosa partita!

Non sarò poi nata con tutti questi colori, quante sono le mie emozioni,

per appiattirmi nella dipendenza da che qualcosa accada senza

che io possa scegliere di parteciparvi.. o meno!

È tempo per me di saltare oltre la soglia,

nel mondo che mi sembrava negato.

Né delicata bambolina, né burattino, né pedina,

ho imparato a riprendermi i miei attimi quando più mi va!

Si spezzino pure, i fili delle vostre meccaniche manipolazioni!

Sia sincero il pubblico che mi scruta bieco,

con disapprovazione mentre salto in aria

via dal palcoscenico e riscrivo con la dinamite la mia storia:

quanto conta davvero, signore e signori, che io svolga per voi un copione tanto ridotto?

E cosa realizzo del mio io profondo, quando mi vedevo assegnare

una funzione, valore, un punteggio, secondo arbitrari schemi

di competizione? ..Non sarò parentesi tendente allo zero!

Neppure esser trattata da carta vincente, come da consorte regina, serve

a ritrovare un personale, insito, splendore! Rifiuto servigi come di essere serva.

Sono ormai sganciata da queste strategie di simulazione,

non c’è modo di incatenarmi. Né serbo di rimediare

in mio nome ai vostri fallimenti, ancor più furia mi assale!

Corona o cencio mi si voglia affibbiare, c’è sempre ben altro

da sfoggiare, non certo qualche pretestuoso giudizio esteriore e venale!

Non sono mica qui per riconoscere licenza ai vostri succesi, dare corpo a ricatti,

non prona a suggellare con la mia firma un’astratta quota del vostro potere!

E levatevi quelle smorfie esterefatte, suvvia, ho appena iniziato con le presentazioni!

Avverto, non sprecherò il fiato che mi rimane nella rassicurazione di questa tesa fissità in cui vi ho conosciuti.. E in cui vi lascio.

Quando ho sospirato, come ogni essere, per le mie sofferenze,

mi si rispondeva di non avere fretta, di abbassare la testa o di reprimere le troppe curiosità..

E dovrei oggi rasserenare chi sarebbe pronto a gettarmi se questo valesse la sua fortuna?

Non è affar mio, rappresentare la vostra consolazione, né il rendermi un ridicolo sfogo per le vostre mancanze.

Su cosa si punta, in questo piattume?

Che ogni carta rilanci se stessa!

Basta formalità, inchini, applausi, proposte sconvenienti!

Sono stufa di chiudere gli occhi e stringere i denti!

Se è vero che mi toccano sacrifici che non ho scelto,

posso dire che l’obbligo maggior per una società sana non venga mai da lor signor richiesto:

dedicarsi all’ascolto del proprio umore, del proprio sentore.

 

Mi riapproprio, perciò, del mio corpo disciplinato, privato dell’indipendenza e fatto strumento.

Il rincorrersi dei miei desideri, soltanto,

detterà le regole delle mie giornate!

A quale gioia dovrei rinunciare, dal momento che non potete impedirmi di immaginarla dentro di me?

E quant’è dolce già l’aspettativa di ognuna, che tra ansie e tentennamenti,

porta in gestazione tutte le espressioni della vita che si rinnova? Voglio festeggiarla!

Abbracciando armonie portate dal vento respirando la terra divelta.

Non batto le strade, ma su quelle mi batto

come pelle di tamburo scalpello

rudi frammenti di pietra invecchiata.

E più incontro sofferenza meno faccio caso a quanto sia immensa,

perché immersa, mata nataraj, in un vuoto danzante,

non resta che un ferreo vagabondare 

cui sorrido irriverente attraverso il confine, e ancora..

..un’altra cinta muraria che crolla.

Ho scoperto che le qualità non hanno definizione, assegnazione, valore,

ma fioritura. Non “mie” o “sue”, ma giustappunto comunicanti,

ho appreso a seminarle sparse, fuori da ristrette corti,

nei modi di una questua per un’ambulante.

Ho cominciato a pescare ricordi e attese per allenare l’equilibrio

tra singhiozzi rappresi della ragione e cicliche palpitazioni dischiuse.

 

So finalmente osare, tuffarmi in capriole carpiate,

inarrestabile la mia rabbia, esonda le vostre sbarre,

circensi i miei dubbi, mai dimorato in precetti stringenti.

Itinerante il mio cuore, non più timorato, dischiusosi

tra compagnie di ventura, cullandomi in vortici elastici

e ad uno schiocco di dita definendo il mio orizzonte

all’equilibrio di un trapezio issato su di un precipizio.

Interrogo la mia luna quando la notte si fa piu’ scura..

Vado assemblando note, accordi ricuciti,

un sapere a sonagli, non innoquo perché sinuoso,

che sappia cogliere ogni istante che sussurri libertà.

multiverso.

 

 

* Jolie Jolly *

 

  • Add to Phrasebook
    • No word lists for English -> Italian…
    • Create a new word list…
  • Copy

HABITAT #akt1 [cuento punteado] ▲YaRosaNegrA▼

Superato il ponte sulla Dora mi ritrovo immersa in una distesa di scatole e scartoffie, qua e là qualche esile sgabello. Tracce ancora manifeste, come ostinate, sparpagliate lungo le diramazioni pedonali, incrostate ma la cui toponomastica sembra indelebile, dalla storia che ha memoria di sé nei segnali rivendicativi che colorano cigli e saracinesche. Percorsi che…

Reddito di sorveglianza

Nel 2015, anno in cui Alfano allargò il campo della definizione terroristica, risultò evidente come provvedimenti amministrativi e misure cautelari tesi a emarginare i soggetti criminalizzati, venissero applicati con la massima arbitrarietà.

Più di un terzo del numero totale dei detenuti in Italia era sottoposto a custodia cautelare [dati del marzo 2015, associazione Antigone], così da limitare le libertà personali degli indagati, [oltre che a fomentare la loro stigmatizzazione sociale grazie alla stampa di regime], già prima di una sentenza di condanna e talvolta prima dell’inzio del processo stesso.

[…] L’involuzione in senso autoritario del sistema politico rese ancora più pressante l’esigenza di mettere in discussione molti dei principi di fondo del diritto penale liberale, realizzando significative convergenze tra le istanze repressive dei nuovi regimi e le proposte avanzate dalla scuola positiva [in materia penale]. Ciò consentì che sostanziali regressi in termini di civiltà giuridica potessero essere presentati da interpreti e legislatori come scelte innovative, emblematiche di una moderna politica criminale.

[da L’elaborazione del Codice Rocco tra principi autoritari e continuità istituzionale; capitolo d’approfondimento pubblicato nel 1999 per il centro di ricerca interuniversitario ADIR, L’Altro Diritto]

Nascondere, in grazia di tangenti e rapporti di affiliazione, la propria infedeltà all’ordinamento costituzionale mentre ci si serve di corollari giudiziari che avvallano le ingiustizie sociali, è ormai una strategia didattica, scolastica, in un paese in cui nessun elemento forgiante il codice penale fascista è stato mai superato. Le tecniche di propaganda politica americana hanno poi fatto da collante alla continuità romanica tra influenza politica, estorsione fondiaria e procedure processuali che suggellano lo status dei rapporti di potere esistenti.

Leit motiv dell’appannaggio informativo di stampo governativo e presa possidente, è la vendita di scandali che distraggano l’attenzione dai processi di costruzione dell’apparato pubblico, tanto dai suoi rapporti retorici quanto dalle sue edificazioni materiali.

Il concetto di pubblico è pervaso d’apatia rispetto alle regie d’investimento, ma ben immerso in narrazioni ed affari bui da camerino, figurarsi se questa possa mai concedersi di intervenire, autodeterminante, a cambiare lo svolgimento di qualche opera, invece di gettarsi tra ansie di complotto e ipocrisia politica, farsi corteggiare da partenariati neoliberali e coperture finanziarie cooperative, dedicarsi al managment 4.0 ed a progetti d’integrazione intrisi di neofascismo. L’eredità italiana sta nella scelta della cittadinanza di essere conformemente ininterpellabile, espletando le proprie ambizioni tra la fiction comedy spoliticizzata e l’anacronistica eccellenza della turistificazione.

Gruppi scientemente orwelliani annaspano in cerca di un sempre più folto numero di soggettività il cui diritto sia minore, come già preannunciato dalla filiera della delocalizzazione e determinato nei patti occidentali per il controllo demografico, arrivato ormai a sostituire, spinto da xenofobia classista e retorica nazionalsovranista, le politiche già sclerotizzate che innescarono per prime l’implosione del “concetto” di welfare e di erogazione di servizi come addebito.

Siamo in balia dell’astrazione dello spazio pubblico, la messa a disposizione di un bene in virtù della ricattabilità che lo Stato può ritorcervi, a scelta obbligata tra la collaborazione servile e lo sfratto a sfregio delle capacità di autogestione di piccole collettività (quando non si ricada nelle categorie criminali ed eversive..). Nella concessione “in usufrutto” data a queste città-negoziato, che contraddice le indicazioni di ordine pubblico via via impiantate, il diritto alla città non ha mai preso forma altra dal conto in banca.

Non esiste spazio urbano che sia formalmente gestibile dalla collettività stessa, o alla quale sia permesso attraversalo senza approvazione consigliare comunale. Tantomeno si riesce a immaginare fuor di burocrazia clientelare di poterlo riadattare alle proprie motivazioni politiche e prioritariamente esistenziali.

Invito a Désurbanisme (Grenoble; 2005)

 

Come reclusi nelle “nostre” case,

così intrusi -potenzialmente criminali- nelle “loro” strade.

Sempre quell’anno, dopo un tentativo del capo di polizia Pansa di introdurre l’uso del braccialetto elettronico per la sorveglianza speciale, i funzionari di polizia richiesero a palazzo Chigi il daspo per i cortei e la reintroduzione del manganello tonfa, spray urticanti, pistole taser e proiettili di gomma, la cui dichiarata “non letalitá” non corrisponde al vero. Nei paesi europei in cui taser e proiettili di gomma sono stati ammessi, sono numerosi “gli incidenti” mortali e le mutilazioni (agli occhi od altre parti sensibili). Eppure, l’anno scorso, marzo 2018, la dotazione dei Taser è passata in vigore di sperimentazione in 11 città della penisola.

[cf. dossier a cura del collettivo Prison Break Project sulla licenza d’uso decennale di flashballs, granate di disaccerchiamento e taser da parte della BAC e della gendarmeria francese.]

La copertura, tramite strategie repressive e demagogiche, dell’incapacità giuridico-amministrativa di procedere confomemente ai propri mandati sociali, oltre ad essere retaggio della dittatura fascista, si giustifica come un’operazione non solo ideologicamente necessaria all’ordine democratico stesso, ma anche con ciò, di stasi reazionaria. All’impennata del progresso economico non corrisponde quello umano. materialmente, come un’economia prodttiva. Oltre ai guadagni ricavabili dalle ammende e da procedimenti in tribunale, si spazzano via dala strada tutti gli elementi che rappresentano un ostacolo allo sviluppo storico della corruzione capitalista, globale o nazionale che sia.

Ostacolo sarà il riemergere dello spettro della miseria per le strade, e sarà altresì la creazione di alternative esistenziali e collettive non condizionate dalle tendenze progressiste dominanti, i cui emendamenti e comunicazioni di propaganda si tengono ben lungi dal riconoscere soggetti, classi o gruppi sociali nei quali individuano un nemico elettorale, ben lungi quindi dal riconoscerli entro un quadro di convivenza democratica.

I più differenti reclami, se sorti da condizioni di minorità politica, sono liquidabili dall’insieme dei Consigli e dei Ministeri di turno come incidenti di percorso da estirpare, come fossero steli d’erba cresciuti tra le spaccature delle cinta murarie delle nuove corti di governance, prima che le finalità sovversive loro attribuibili si innestino nelle contrattazioni legali e contrattuali o, ancor peggio, in quelle direttamente sperimentabili come sopravvivenza all’urbanizzazione totalizzante.

E mentre questo muro si veste di propaganda e funge da pulpito di rievocazione di un fantomatico concetto di lustro nazionale, i dispositivi di sicurezza si inquadrano come panacea hi-tech dei pericoli sociali e le divise dell’esercito per le strade e le ronde con le fondine piene danno quel senso di sicurezza in più alle piazze in cui il ciclo degli esercizi commerciali rischierebbe di interrompersi o sentirsi minacciato.

Gli elementi vitali di una società non balenano più di luce propria delle singole volontà, sanno nominarsi ormai soltanto nei termini della giustizia di sentenza, e si riducono a immedesimarsi nei vertici dell’assetto esecutivo quanto più dalle poltrone si scimmiotta la mediocrità in cui la società mediata si è spiaggiata. Mentre l’uomo comune, in assoluta fideizzazione all’egocentrismo liberale, ambendo a veder riconosciuta o elevata la propria posizione decisionale, legittima un impianto normativo che rincorre arrancante gli andamenti di mercato, egli non fa che limare le proprie potenzialità umane per omologarsi ad una moltitudine in balia degli esiti ultimi e singhiozzanti del consumo sfrenato e massificato delle risorse naturali. Mentre si rende attore passivo, puntatore d’azzardo sulle guerra per procura, mentre percepisce la sua quota percentuale di profitto, contribuisce alla doratura di un sistema pseudo-nazionale che sta ristrutturando le proprie fondamenta in materia di ricatto e repressione sociali.

Prendiamo il caso delle “spese di sostentamento ai migranti”.  tra il 2015 e il 2016 il governo italiano ha sborsato poco meno di 100.000.000 euro, sollevando il fatturato di compagnie aeree come Egyptair, Blue Panorama, Charter Viaggi e Mistral Air, quest’ultima di proprietà di Poste Italiane per rimpatriare forzatamente circa 5.000 migranti, su 485mila stimati dall’Ismu (Istituto per lo studio della multietnicità). Oltre ai finanziamenti recepiti da queste società, ovviamenti anche i corpi di sicurezza, cui vengono assegnati nuove mansioni di scorta e controllo, godono dei rendimenti di questa “strategia anticrimine”. Molti di questi voli sono stati organizzati senza attendere le tempistiche per un regolare ottenimento dell’asilo politico da parte dei richiedenti.. anzi, come dichiarato dai funzionari del Garante detenuti, spesso senza nemmeno lasciare che facessero domanda, gettando nel rischio di ritorsioni penali nel proprio paese persone che erano riuscite a fuggire. [crf.Lettera43]

GEPSA, società francese che da oltre 30 anni si occupa di edifici penitenziari e che in Italia ha avuto in gestione svariati capienti Centri di identificazione ed espulsione, dal 2014, dopo la vincita di ulteriori gare d’appalto italiane, ha addirittura smesso di dichiarare pubblicamente gli introiti ricavati dalla detenzione amministrativa dei migranti.

Oltre ad imprese come Gepsa ed ai finanziamenti da parte di svariati istituti bancari, la Croce Rossa, enti clericali e cooperative varie continuano a dare prova delle proprie ipocrisie assistenziali. Vi sarebbe poi un lungo elenco di aziende addette alla manutenzione di queste carceri, ma è già evidente come, prima ancora che all’inglobamento degli stranieri come forza lavoro a basso costo nella filiera del caporalato, la privatizzazione degli interventi di regolamentazione dell’immigrazione offra nuovi sbocchi di profitto. In Italia, quanto in altri paesi europei, la sicurezza viene amministrata sempre più da imprese multinazionali che difficilmente si premuneranno di salvaguardare le sensibilità delle proprie “utenze”, ridotte a numero di fatturato, o di fornire loro mezzi di sussistenza dignitosi, dal momento che il proprio interesse si gioca proprio sulla sospensione regimentata dei piu basilari diritti umani.

Questo smacco demo-liberale tutto impegnato in opere di privatizzare della mobilità e delle possibilità abitative, mi pare conservi intrinsecamente la vecchia celebrazione episcopale del libero arbitrio di una civitas volgare e da condurre pastoralmente, recintata in rapporti di dominio fattosi policentrici, nemmeno più nominalmente riconoscibili, che manifestano la proprià onnipresenza indiscutibile per mezzo di carte bollate, ricatti lavorativi e assilli identitari, riducendo la proletarizzazione a punteggio nella dichiarazione dei redditi e allo stesso tempo colpevolizzando i singoli della precarizzazione delle proprie vite, asservendole con promesse premiali e scacciando le forme di resistenza tramite fustigazioni degli elementi infettivi, le cui esistenze disattendono le spunte burocratiche e inquisitorie, questo sistema di erogazione di servizi e diritti residenziali è indissolubile ormai dalla coercizione verso indigenti infedeli allo sfruttamento e anomie recalcitranti all’ordinamento dei poteri.

In questo clima di spartizione di fatturati e indifferenza per la realtà degradante fatta vivere ai migranti arrivati fino al nostro paese, il dissenso di ampie fasce di popolazione davanti alla strumentalizzazione di discorsi xenofobi e’ stato totalmente ignorato, quando non represso. Dall’applicazione convulsiva del daspo urbano ai senza dimora alle politiche di esternalizzazione dei confini italici alle coste libiche, alla laida e surrealistica oratoria di Salvini, il passo era breve. Cosi si è montata, oltre all’odio indiscriminato verso chi sperava di entrare nelle promesse coloniali per potersi sostentare, un’ulteriore legittimazione retorica e giuridica dell’esclusione sociale, tanto su base etnica quanto per questioni di classe.

Con il DL Sicurezza 11/2018 del governo Salvini è stata depennata la possibilità di fare richiesta di protezione umanitaria. Chiunque non disponga di un contratto di lavoro esistente dovrà attendere che i tempi burocratici diano responso sulle proprie credenziali di rifugiato. Il proprio permesso di soggiorno diviene revocabile arbitrariamente nel momento in cui ci si azzardi a lamentare la disonestà aziendale o già soltanto la scorrettezza del proprio ricatto contrattuale, che sia partecipando a manifestazioni di protesta o perdendo il lavoro per indisponibilità personale.

Altro aspetto del decreto, come sul piano della repressione delle lotte sindacali meticce, del tutto funzionale alla criminalizzazione delle pratiche di mutuo appoggio e del riuso autogestito degli spazi urbani, è stato l’invito ad accellerare gli sgomberi di abitazioni o centri sociali occupati, ossia i pochi luoghi che ancora possono accogliere, stare insieme, dare un tetto e finanche offrire consulenza medica e legale ai migranti. Invito direttamente applicato dalle prefetture e che unitamente alla recrudescenza della pena per blocco stradale ha già cominciato a soffocare i bacini sociali resistenti alla crisi economica, alla privatizzazione imperante ed alla cultura della delega e dell’indifferenza rispetto ai rivolgimenti locali e globali.

Dall’operazione Strade sicure ad oggi, l’ingaggio militare, tanto offensivo contro le forme di socialità spontanee e precarie, quanto a protezione dei processi di speculazione edilizia e turistificazione, è tornato per configurarsi come punto fermo di propaganda civica. L’economia interna si è esplicitamente dedicata al rinvigorimento dei corpi di polizia, ne rispolvera e lucida demagogicamente e mediaticamente il valore, brandisce lo sciocco di un ordine classista ed etnico per le amministrazioni, che non esitano a profittare del ritorno in ammende che le migliaia di denuncie e sentenze di tribunali impongono a coloro che non accettano l’irretimento.

Invito a Disarmons-les, articolo

(ripercorre in breve la conservazione dei princìpi persecutori dei movimenti del ’68 nella  tolerance zero di Sarkozy e Castaner).

.

La proclamazione di uno Stato di diritto si rivela un paradosso contemporaneo così stridente che è riaffiorata in fretta (e in modo grottesco se non fosse per i milioni di morti di questi anni alle frontiere costiere e montane nazionali), per la conservazione di un ordine di attendibilità e prevedibilità delle masse, la necessità pervicace di una società strutturalmente infame e commissariata, il cui trinceramento e in corollario l’attacco alla libera iniziativa dei suoi stessi membri sono giudicati quali fondamento prescrittivo e valore formale.

Cittadinanze irregolari tra gli assiomi di mercato

Mancano medicinali, siringhe e, in alcuni casi, a causa della mancanza di garze, i pochi addetti hanno dovuto far ricorso persino a della carta igienica per curare ferite”, dichiarano le stesse guardie, aggiungendo che spesso mancano anche i pasti e l’acqua calda, che ci sono blatte ovunque e larve di vermi nel latte, così come si registrano numerosi casi di scabbia, epatite e infezioni dovute alle condizioni in cui le persone sono costrette a vivere.

Non c’è spazio per posizioni differenti, nessun’entità formale che vi abbia messo piede può più negare che il centro di reclusione di Bari Palese, e altrettanto quello di Brindisi Restinco, versi in condizioni pietose. Che quella struttura punitiva, messa a punto dal governo —- per il trasferimento di coloro che in altri centri di detenzione non si sono lasciati ridurre alla prigionia senza ribellarsi, sia di fatto amministrata come un lager fascista.

Nessuna voce delle persone recluse esce da quelle mura, nessun momento di solidarietà ha attivato una comunicazione volta a combattere l’isolamento.
Eppure nel lager di Bari Palese, da sempre considerato una struttura punitiva dove lo stato trasferisce chi lotta in altri centri, che  le persone recluse si ribellano frequentemente, danneggiando e provando a evadere.

[dal più recente episodio di rivolta nei CPR riportato su https://hurriya.noblogs.org/…/bari-tentata-evasione-dal-cpr/]

>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Ieri era l’anniversario di un episodio nel CPT di Trapani, 28 dicembre 1999, in cui morirono 6 persone in un incendio appiccato da una di loro nella cella in cui erano state rinchiuse dopo un tentativo di fuga, cella che non venne deliberatamente aperta dalle guardie di turno, preferendo che divampassero le fiamme sui reclusi piuttosto che il loro tentativo di rivolta avesse qualche esito, “naturalmente” inammissibile per il loro dovere istituzionale.

Una volta che l’esistenza di una persona viene convenzionalmente misconosciuta, sembra decada in automatico la responsabilità di coloro che concorrono alla sua esclusione sociale, dalla negazione dei suoi diritti e della sua dignità di essere senziente alla privazione forzata dei bisogni essenziali alla sua sopravvivenza.

Spingendo ad oltranza l’incunearsi della mentalità del respingimento e la reazione di distacco dalla sofferenza umana e dal dispendio di energie che produce, quanto più quella responsabilità si rende cieca esecutrice della giustizia amministrativa, tanto più perde cognizione del proprio impatto in quanto demandato all’infinito a qualche posizionamento superiore o astratto, meno peso diretto può attribuirsi.
Mentre rifiutate concessioni di umanità di un essere umano perchè non sta scritto sul vostro contratto di lavoro, state misconoscendo per primo la vostra, di umanità. Forse l’avete semplicemente già venduta.
Come potreste allora curarvi di una persona che non può, nemmeno volendo, conformarsi alla vendita di sé per un ritorno economico?
L’identità è una forma primitiva di demarcazione; prima ancora che il merito era presupposto del rivestimento di un ruolo, quindi di un potere, anche qualora fosse un potere soggiogato a determinate regole. Perchè sia possibile un riconoscimento reciproco tra identità socialmente differenti sembra che non si possa fare a meno, convenzionalmente, di affermare uno scambio materiale, di commutare l’essenza in onere lavorativo e potere d’aquisto, o ridurre la cultura a storia delle gesta della propria nazione.
Se all’identità si restituisse un significato esistenziale profondo sarebbero ancora così sensati i tentativi di afferrarla con le impronte o tracciarla geolocalmente, per poi racchiuderla in database amministrativi? Prima del contrattualismo, prima delle anagrafi, prima dei codici, c’è il desiderio delle persone di stare insieme e interagire. Le leggi restrittive rappresentano l’incapacità delle istituzioni di assolvere a un mandato dell’ordinamento politico che anziche comprendere in sé la dinamicità dell’esistente, fissa dei livelli di potere. Lasciarci schiacciare e schiacciare altri attraverso di esse non è solo ben poco umano, è distopico.
A quali mete può approdare una società attraverso la mutilazione degli elementi con cui si rapporta, volente o nolente, e a cui è protesa, sia che li rifiuti sia che li comprenda?

La dislocazione e l’alienazione delle frange di popolazione che “non rendono”, “non sono funzionali” o “non possono accedere” alla pianificazione dello sviluppo economico, questi dettami sempre in auge dell’ordine civile centralizzatore, contro il degrado e per la sicurezza, non servono che a specifiche strategie reazionarie. Queste non portano ad assicurare l’ordine, ma a creare bacini servili, tanto di contribuenti quanto di utenti, vite strumentali alla realizzazione di una prosperità finanziaria tutta tesa a sedare qualsiasi sprone indirizzato all’indipendenza da essa, e che per ingraziarsi il malcontento non ha altro bisogno che di giustificare la propria corruttibilità puntando il dito contro la piccola criminalità.

A chi pensa che la ribellione violenta sia atto di inciviltà io rispondo che il più profondo aspetto di inciviltà è lo sbocco penitenziario della legge, oltre alla sua inevitabile predisposizione all’uso improprio che se ne fa, facilitando l’oppressione di chi non detiene potere sulle proprie condizioni di vita. E chi non ha potere, come può essere giudicato violento, se non contro se stesso, o al fine di una fuoriuscita dal suo stato di minorità?
Quando si sa di non essere nati per essere trattati come oggetti senza valore d’uso, smistati senza riguardo ed immagazzinati per mesi, ritirati dal mercato se giudicati non conformi, la propria dignità non troverebbe ristoro nemmeno nel sostare in un carcere “servito” e godere di inserimento in liste di attesa per la casa e per un’occupazione base.
Si provi a immaginare un momento in cui si voglia ricostruire la propria vita, o proseguirla seguendo una traccia di chi ci è riuscito, ma lo spazio per una possibile ricostruzione e riproposizione di sé viene ricondotto ad una cella ed a elenchi standardizzati.
Possiamo mangiare quello che ci viene offerto, lo scarto del guadagno di chi ce lo offre, ma non cercare da noi il cibo che ci basti. La propria voce viene ammutolita. Se ci proviamo a muovere, riceviamo colpi che ci annichiliscono.

Ogni daspo, ogni decreto o limitazione alla libertà di movimento, ribadendo la proprietà del benessere dei propri cittadini, la paternità dei propri confini, proprio stringendosi su concetti tradizionali del potere amministrativo, rivela il fallimento intrinseco delle misure di controllo in atto e la loro subalternità a determinazioni economiche transnazionali.

<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
CHIAVI FINANZIARIE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

L’inasprimento di una nazione contro movimenti migratori della cui diffusione ha responsabilità finanziarie e politiche che si protraggono da oltre un secolo attraverso una coltre di asseverazione psicologica della propria cittadinanza ed un conformismo di questa alle novità del mercato, è funzionale quanto potrebbero esserlo delle valanghe lanciate dall’alto di un picco di interesse relativo, per la facilitazione di pochi, specifici, obiettivi, che per mantenersi stabili richiedono un rastrellamento della complessità sociale a valle, delle sue potenzialità. Ogni passo di quest’ultima per l’autodeterminazione costituisce un’ombra di rischio di perdita dell’aura di quei piccoli orchi che giocano a lanciare neve al sole dal parlamento.

Così, mentre “i nostri” ministri e promotori del made in italy collaborano con governi repressivi africani e mediorientali (e questa sì che è una componente razionale e marcatamente progressista del loro posizionamento verticista in collaborazione con imam del business di materie prime e con l’accelerazionismo capitalista cinese, posizionamento che trova in città come Dubai e Shenzen il coronamento “già qui” delle proprie ambizioni ad un potere meccatronico e ultramiliardiario), si può dedicare la propria disperazione agli attentati avvenuti nei nostri luoghi di svago compiuti da cellule terroristiche formatesi nelle nostre prigioni, e insieme sentirsi risoluti ad attribuire questa pericolosità ideologica, che è poi piuttosto randomica, alla tendenza criminale di “stranieri” che si fanno rivoltosi cercando di interrompere una prassi sistemica che li sottopone a condizioni insane di sussistenza, a un controllo cronometrico dell’aria che possono respirare e alla cessione delle proprie capacità di integrazione a uffici il cui personale, spersonalizzato, non oserebbe nemmeno discutere della propria passività in questa filiera di certificazione di uomini.

 

#CPR #capitale umano #flussi mercantili