Nel 2015, anno in cui Alfano allargò il campo della definizione terroristica, risultò evidente come provvedimenti amministrativi e misure cautelari tesi a emarginare i soggetti criminalizzati, venissero applicati con la massima arbitrarietà.

Più di un terzo del numero totale dei detenuti in Italia era sottoposto a custodia cautelare [dati del marzo 2015, associazione Antigone], così da limitare le libertà personali degli indagati, [oltre che a fomentare la loro stigmatizzazione sociale grazie alla stampa di regime], già prima di una sentenza di condanna e talvolta prima dell’inzio del processo stesso.

[…] L’involuzione in senso autoritario del sistema politico rese ancora più pressante l’esigenza di mettere in discussione molti dei principi di fondo del diritto penale liberale, realizzando significative convergenze tra le istanze repressive dei nuovi regimi e le proposte avanzate dalla scuola positiva [in materia penale]. Ciò consentì che sostanziali regressi in termini di civiltà giuridica potessero essere presentati da interpreti e legislatori come scelte innovative, emblematiche di una moderna politica criminale.

[da L’elaborazione del Codice Rocco tra principi autoritari e continuità istituzionale; capitolo d’approfondimento pubblicato nel 1999 per il centro di ricerca interuniversitario ADIR, L’Altro Diritto]

Nascondere, in grazia di tangenti e rapporti di affiliazione, la propria infedeltà all’ordinamento costituzionale mentre ci si serve di corollari giudiziari che avvallano le ingiustizie sociali, è ormai una strategia didattica, scolastica, in un paese in cui nessun elemento forgiante il codice penale fascista è stato mai superato. Le tecniche di propaganda politica americana hanno poi fatto da collante alla continuità romanica tra influenza politica, estorsione fondiaria e procedure processuali che suggellano lo status dei rapporti di potere esistenti.

Leit motiv dell’appannaggio informativo di stampo governativo e presa possidente, è la vendita di scandali che distraggano l’attenzione dai processi di costruzione dell’apparato pubblico, tanto dai suoi rapporti retorici quanto dalle sue edificazioni materiali.

Il concetto di pubblico è pervaso d’apatia rispetto alle regie d’investimento, ma ben immerso in narrazioni ed affari bui da camerino, figurarsi se questa possa mai concedersi di intervenire, autodeterminante, a cambiare lo svolgimento di qualche opera, invece di gettarsi tra ansie di complotto e ipocrisia politica, farsi corteggiare da partenariati neoliberali e coperture finanziarie cooperative, dedicarsi al managment 4.0 ed a progetti d’integrazione intrisi di neofascismo. L’eredità italiana sta nella scelta della cittadinanza di essere conformemente ininterpellabile, espletando le proprie ambizioni tra la fiction comedy spoliticizzata e l’anacronistica eccellenza della turistificazione.

Gruppi scientemente orwelliani annaspano in cerca di un sempre più folto numero di soggettività il cui diritto sia minore, come già preannunciato dalla filiera della delocalizzazione e determinato nei patti occidentali per il controllo demografico, arrivato ormai a sostituire, spinto da xenofobia classista e retorica nazionalsovranista, le politiche già sclerotizzate che innescarono per prime l’implosione del “concetto” di welfare e di erogazione di servizi come addebito.

Siamo in balia dell’astrazione dello spazio pubblico, la messa a disposizione di un bene in virtù della ricattabilità che lo Stato può ritorcervi, a scelta obbligata tra la collaborazione servile e lo sfratto a sfregio delle capacità di autogestione di piccole collettività (quando non si ricada nelle categorie criminali ed eversive..). Nella concessione “in usufrutto” data a queste città-negoziato, che contraddice le indicazioni di ordine pubblico via via impiantate, il diritto alla città non ha mai preso forma altra dal conto in banca.

Non esiste spazio urbano che sia formalmente gestibile dalla collettività stessa, o alla quale sia permesso attraversalo senza approvazione consigliare comunale. Tantomeno si riesce a immaginare fuor di burocrazia clientelare di poterlo riadattare alle proprie motivazioni politiche e prioritariamente esistenziali.

Invito a Désurbanisme (Grenoble; 2005)

 

Come reclusi nelle “nostre” case,

così intrusi -potenzialmente criminali- nelle “loro” strade.

Sempre quell’anno, dopo un tentativo del capo di polizia Pansa di introdurre l’uso del braccialetto elettronico per la sorveglianza speciale, i funzionari di polizia richiesero a palazzo Chigi il daspo per i cortei e la reintroduzione del manganello tonfa, spray urticanti, pistole taser e proiettili di gomma, la cui dichiarata “non letalitá” non corrisponde al vero. Nei paesi europei in cui taser e proiettili di gomma sono stati ammessi, sono numerosi “gli incidenti” mortali e le mutilazioni (agli occhi od altre parti sensibili). Eppure, l’anno scorso, marzo 2018, la dotazione dei Taser è passata in vigore di sperimentazione in 11 città della penisola.

[cf. dossier a cura del collettivo Prison Break Project sulla licenza d’uso decennale di flashballs, granate di disaccerchiamento e taser da parte della BAC e della gendarmeria francese.]

La copertura, tramite strategie repressive e demagogiche, dell’incapacità giuridico-amministrativa di procedere confomemente ai propri mandati sociali, oltre ad essere retaggio della dittatura fascista, si giustifica come un’operazione non solo ideologicamente necessaria all’ordine democratico stesso, ma anche con ciò, di stasi reazionaria. All’impennata del progresso economico non corrisponde quello umano. materialmente, come un’economia prodttiva. Oltre ai guadagni ricavabili dalle ammende e da procedimenti in tribunale, si spazzano via dala strada tutti gli elementi che rappresentano un ostacolo allo sviluppo storico della corruzione capitalista, globale o nazionale che sia.

Ostacolo sarà il riemergere dello spettro della miseria per le strade, e sarà altresì la creazione di alternative esistenziali e collettive non condizionate dalle tendenze progressiste dominanti, i cui emendamenti e comunicazioni di propaganda si tengono ben lungi dal riconoscere soggetti, classi o gruppi sociali nei quali individuano un nemico elettorale, ben lungi quindi dal riconoscerli entro un quadro di convivenza democratica.

I più differenti reclami, se sorti da condizioni di minorità politica, sono liquidabili dall’insieme dei Consigli e dei Ministeri di turno come incidenti di percorso da estirpare, come fossero steli d’erba cresciuti tra le spaccature delle cinta murarie delle nuove corti di governance, prima che le finalità sovversive loro attribuibili si innestino nelle contrattazioni legali e contrattuali o, ancor peggio, in quelle direttamente sperimentabili come sopravvivenza all’urbanizzazione totalizzante.

E mentre questo muro si veste di propaganda e funge da pulpito di rievocazione di un fantomatico concetto di lustro nazionale, i dispositivi di sicurezza si inquadrano come panacea hi-tech dei pericoli sociali e le divise dell’esercito per le strade e le ronde con le fondine piene danno quel senso di sicurezza in più alle piazze in cui il ciclo degli esercizi commerciali rischierebbe di interrompersi o sentirsi minacciato.

Gli elementi vitali di una società non balenano più di luce propria delle singole volontà, sanno nominarsi ormai soltanto nei termini della giustizia di sentenza, e si riducono a immedesimarsi nei vertici dell’assetto esecutivo quanto più dalle poltrone si scimmiotta la mediocrità in cui la società mediata si è spiaggiata. Mentre l’uomo comune, in assoluta fideizzazione all’egocentrismo liberale, ambendo a veder riconosciuta o elevata la propria posizione decisionale, legittima un impianto normativo che rincorre arrancante gli andamenti di mercato, egli non fa che limare le proprie potenzialità umane per omologarsi ad una moltitudine in balia degli esiti ultimi e singhiozzanti del consumo sfrenato e massificato delle risorse naturali. Mentre si rende attore passivo, puntatore d’azzardo sulle guerra per procura, mentre percepisce la sua quota percentuale di profitto, contribuisce alla doratura di un sistema pseudo-nazionale che sta ristrutturando le proprie fondamenta in materia di ricatto e repressione sociali.

Prendiamo il caso delle “spese di sostentamento ai migranti”.  tra il 2015 e il 2016 il governo italiano ha sborsato poco meno di 100.000.000 euro, sollevando il fatturato di compagnie aeree come Egyptair, Blue Panorama, Charter Viaggi e Mistral Air, quest’ultima di proprietà di Poste Italiane per rimpatriare forzatamente circa 5.000 migranti, su 485mila stimati dall’Ismu (Istituto per lo studio della multietnicità). Oltre ai finanziamenti recepiti da queste società, ovviamenti anche i corpi di sicurezza, cui vengono assegnati nuove mansioni di scorta e controllo, godono dei rendimenti di questa “strategia anticrimine”. Molti di questi voli sono stati organizzati senza attendere le tempistiche per un regolare ottenimento dell’asilo politico da parte dei richiedenti.. anzi, come dichiarato dai funzionari del Garante detenuti, spesso senza nemmeno lasciare che facessero domanda, gettando nel rischio di ritorsioni penali nel proprio paese persone che erano riuscite a fuggire. [crf.Lettera43]

GEPSA, società francese che da oltre 30 anni si occupa di edifici penitenziari e che in Italia ha avuto in gestione svariati capienti Centri di identificazione ed espulsione, dal 2014, dopo la vincita di ulteriori gare d’appalto italiane, ha addirittura smesso di dichiarare pubblicamente gli introiti ricavati dalla detenzione amministrativa dei migranti.

Oltre ad imprese come Gepsa ed ai finanziamenti da parte di svariati istituti bancari, la Croce Rossa, enti clericali e cooperative varie continuano a dare prova delle proprie ipocrisie assistenziali. Vi sarebbe poi un lungo elenco di aziende addette alla manutenzione di queste carceri, ma è già evidente come, prima ancora che all’inglobamento degli stranieri come forza lavoro a basso costo nella filiera del caporalato, la privatizzazione degli interventi di regolamentazione dell’immigrazione offra nuovi sbocchi di profitto. In Italia, quanto in altri paesi europei, la sicurezza viene amministrata sempre più da imprese multinazionali che difficilmente si premuneranno di salvaguardare le sensibilità delle proprie “utenze”, ridotte a numero di fatturato, o di fornire loro mezzi di sussistenza dignitosi, dal momento che il proprio interesse si gioca proprio sulla sospensione regimentata dei piu basilari diritti umani.

Questo smacco demo-liberale tutto impegnato in opere di privatizzare della mobilità e delle possibilità abitative, mi pare conservi intrinsecamente la vecchia celebrazione episcopale del libero arbitrio di una civitas volgare e da condurre pastoralmente, recintata in rapporti di dominio fattosi policentrici, nemmeno più nominalmente riconoscibili, che manifestano la proprià onnipresenza indiscutibile per mezzo di carte bollate, ricatti lavorativi e assilli identitari, riducendo la proletarizzazione a punteggio nella dichiarazione dei redditi e allo stesso tempo colpevolizzando i singoli della precarizzazione delle proprie vite, asservendole con promesse premiali e scacciando le forme di resistenza tramite fustigazioni degli elementi infettivi, le cui esistenze disattendono le spunte burocratiche e inquisitorie, questo sistema di erogazione di servizi e diritti residenziali è indissolubile ormai dalla coercizione verso indigenti infedeli allo sfruttamento e anomie recalcitranti all’ordinamento dei poteri.

In questo clima di spartizione di fatturati e indifferenza per la realtà degradante fatta vivere ai migranti arrivati fino al nostro paese, il dissenso di ampie fasce di popolazione davanti alla strumentalizzazione di discorsi xenofobi e’ stato totalmente ignorato, quando non represso. Dall’applicazione convulsiva del daspo urbano ai senza dimora alle politiche di esternalizzazione dei confini italici alle coste libiche, alla laida e surrealistica oratoria di Salvini, il passo era breve. Cosi si è montata, oltre all’odio indiscriminato verso chi sperava di entrare nelle promesse coloniali per potersi sostentare, un’ulteriore legittimazione retorica e giuridica dell’esclusione sociale, tanto su base etnica quanto per questioni di classe.

Con il DL Sicurezza 11/2018 del governo Salvini è stata depennata la possibilità di fare richiesta di protezione umanitaria. Chiunque non disponga di un contratto di lavoro esistente dovrà attendere che i tempi burocratici diano responso sulle proprie credenziali di rifugiato. Il proprio permesso di soggiorno diviene revocabile arbitrariamente nel momento in cui ci si azzardi a lamentare la disonestà aziendale o già soltanto la scorrettezza del proprio ricatto contrattuale, che sia partecipando a manifestazioni di protesta o perdendo il lavoro per indisponibilità personale.

Altro aspetto del decreto, come sul piano della repressione delle lotte sindacali meticce, del tutto funzionale alla criminalizzazione delle pratiche di mutuo appoggio e del riuso autogestito degli spazi urbani, è stato l’invito ad accellerare gli sgomberi di abitazioni o centri sociali occupati, ossia i pochi luoghi che ancora possono accogliere, stare insieme, dare un tetto e finanche offrire consulenza medica e legale ai migranti. Invito direttamente applicato dalle prefetture e che unitamente alla recrudescenza della pena per blocco stradale ha già cominciato a soffocare i bacini sociali resistenti alla crisi economica, alla privatizzazione imperante ed alla cultura della delega e dell’indifferenza rispetto ai rivolgimenti locali e globali.

Dall’operazione Strade sicure ad oggi, l’ingaggio militare, tanto offensivo contro le forme di socialità spontanee e precarie, quanto a protezione dei processi di speculazione edilizia e turistificazione, è tornato per configurarsi come punto fermo di propaganda civica. L’economia interna si è esplicitamente dedicata al rinvigorimento dei corpi di polizia, ne rispolvera e lucida demagogicamente e mediaticamente il valore, brandisce lo sciocco di un ordine classista ed etnico per le amministrazioni, che non esitano a profittare del ritorno in ammende che le migliaia di denuncie e sentenze di tribunali impongono a coloro che non accettano l’irretimento.

Invito a Disarmons-les, articolo

(ripercorre in breve la conservazione dei princìpi persecutori dei movimenti del ’68 nella  tolerance zero di Sarkozy e Castaner).

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La proclamazione di uno Stato di diritto si rivela un paradosso contemporaneo così stridente che è riaffiorata in fretta (e in modo grottesco se non fosse per i milioni di morti di questi anni alle frontiere costiere e montane nazionali), per la conservazione di un ordine di attendibilità e prevedibilità delle masse, la necessità pervicace di una società strutturalmente infame e commissariata, il cui trinceramento e in corollario l’attacco alla libera iniziativa dei suoi stessi membri sono giudicati quali fondamento prescrittivo e valore formale.