Mancano medicinali, siringhe e, in alcuni casi, a causa della mancanza di garze, i pochi addetti hanno dovuto far ricorso persino a della carta igienica per curare ferite”, dichiarano le stesse guardie, aggiungendo che spesso mancano anche i pasti e l’acqua calda, che ci sono blatte ovunque e larve di vermi nel latte, così come si registrano numerosi casi di scabbia, epatite e infezioni dovute alle condizioni in cui le persone sono costrette a vivere.

Non c’è spazio per posizioni differenti, nessun’entità formale che vi abbia messo piede può più negare che il centro di reclusione di Bari Palese, e altrettanto quello di Brindisi Restinco, versi in condizioni pietose. Che quella struttura punitiva, messa a punto dal governo —- per il trasferimento di coloro che in altri centri di detenzione non si sono lasciati ridurre alla prigionia senza ribellarsi, sia di fatto amministrata come un lager fascista.

Nessuna voce delle persone recluse esce da quelle mura, nessun momento di solidarietà ha attivato una comunicazione volta a combattere l’isolamento.
Eppure nel lager di Bari Palese, da sempre considerato una struttura punitiva dove lo stato trasferisce chi lotta in altri centri, che  le persone recluse si ribellano frequentemente, danneggiando e provando a evadere.

[dal più recente episodio di rivolta nei CPR riportato su https://hurriya.noblogs.org/…/bari-tentata-evasione-dal-cpr/]

>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Ieri era l’anniversario di un episodio nel CPT di Trapani, 28 dicembre 1999, in cui morirono 6 persone in un incendio appiccato da una di loro nella cella in cui erano state rinchiuse dopo un tentativo di fuga, cella che non venne deliberatamente aperta dalle guardie di turno, preferendo che divampassero le fiamme sui reclusi piuttosto che il loro tentativo di rivolta avesse qualche esito, “naturalmente” inammissibile per il loro dovere istituzionale.

Una volta che l’esistenza di una persona viene convenzionalmente misconosciuta, sembra decada in automatico la responsabilità di coloro che concorrono alla sua esclusione sociale, dalla negazione dei suoi diritti e della sua dignità di essere senziente alla privazione forzata dei bisogni essenziali alla sua sopravvivenza.

Spingendo ad oltranza l’incunearsi della mentalità del respingimento e la reazione di distacco dalla sofferenza umana e dal dispendio di energie che produce, quanto più quella responsabilità si rende cieca esecutrice della giustizia amministrativa, tanto più perde cognizione del proprio impatto in quanto demandato all’infinito a qualche posizionamento superiore o astratto, meno peso diretto può attribuirsi.
Mentre rifiutate concessioni di umanità di un essere umano perchè non sta scritto sul vostro contratto di lavoro, state misconoscendo per primo la vostra, di umanità. Forse l’avete semplicemente già venduta.
Come potreste allora curarvi di una persona che non può, nemmeno volendo, conformarsi alla vendita di sé per un ritorno economico?
L’identità è una forma primitiva di demarcazione; prima ancora che il merito era presupposto del rivestimento di un ruolo, quindi di un potere, anche qualora fosse un potere soggiogato a determinate regole. Perchè sia possibile un riconoscimento reciproco tra identità socialmente differenti sembra che non si possa fare a meno, convenzionalmente, di affermare uno scambio materiale, di commutare l’essenza in onere lavorativo e potere d’aquisto, o ridurre la cultura a storia delle gesta della propria nazione.
Se all’identità si restituisse un significato esistenziale profondo sarebbero ancora così sensati i tentativi di afferrarla con le impronte o tracciarla geolocalmente, per poi racchiuderla in database amministrativi? Prima del contrattualismo, prima delle anagrafi, prima dei codici, c’è il desiderio delle persone di stare insieme e interagire. Le leggi restrittive rappresentano l’incapacità delle istituzioni di assolvere a un mandato dell’ordinamento politico che anziche comprendere in sé la dinamicità dell’esistente, fissa dei livelli di potere. Lasciarci schiacciare e schiacciare altri attraverso di esse non è solo ben poco umano, è distopico.
A quali mete può approdare una società attraverso la mutilazione degli elementi con cui si rapporta, volente o nolente, e a cui è protesa, sia che li rifiuti sia che li comprenda?

La dislocazione e l’alienazione delle frange di popolazione che “non rendono”, “non sono funzionali” o “non possono accedere” alla pianificazione dello sviluppo economico, questi dettami sempre in auge dell’ordine civile centralizzatore, contro il degrado e per la sicurezza, non servono che a specifiche strategie reazionarie. Queste non portano ad assicurare l’ordine, ma a creare bacini servili, tanto di contribuenti quanto di utenti, vite strumentali alla realizzazione di una prosperità finanziaria tutta tesa a sedare qualsiasi sprone indirizzato all’indipendenza da essa, e che per ingraziarsi il malcontento non ha altro bisogno che di giustificare la propria corruttibilità puntando il dito contro la piccola criminalità.

A chi pensa che la ribellione violenta sia atto di inciviltà io rispondo che il più profondo aspetto di inciviltà è lo sbocco penitenziario della legge, oltre alla sua inevitabile predisposizione all’uso improprio che se ne fa, facilitando l’oppressione di chi non detiene potere sulle proprie condizioni di vita. E chi non ha potere, come può essere giudicato violento, se non contro se stesso, o al fine di una fuoriuscita dal suo stato di minorità?
Quando si sa di non essere nati per essere trattati come oggetti senza valore d’uso, smistati senza riguardo ed immagazzinati per mesi, ritirati dal mercato se giudicati non conformi, la propria dignità non troverebbe ristoro nemmeno nel sostare in un carcere “servito” e godere di inserimento in liste di attesa per la casa e per un’occupazione base.
Si provi a immaginare un momento in cui si voglia ricostruire la propria vita, o proseguirla seguendo una traccia di chi ci è riuscito, ma lo spazio per una possibile ricostruzione e riproposizione di sé viene ricondotto ad una cella ed a elenchi standardizzati.
Possiamo mangiare quello che ci viene offerto, lo scarto del guadagno di chi ce lo offre, ma non cercare da noi il cibo che ci basti. La propria voce viene ammutolita. Se ci proviamo a muovere, riceviamo colpi che ci annichiliscono.

Ogni daspo, ogni decreto o limitazione alla libertà di movimento, ribadendo la proprietà del benessere dei propri cittadini, la paternità dei propri confini, proprio stringendosi su concetti tradizionali del potere amministrativo, rivela il fallimento intrinseco delle misure di controllo in atto e la loro subalternità a determinazioni economiche transnazionali.

<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
CHIAVI FINANZIARIE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

L’inasprimento di una nazione contro movimenti migratori della cui diffusione ha responsabilità finanziarie e politiche che si protraggono da oltre un secolo attraverso una coltre di asseverazione psicologica della propria cittadinanza ed un conformismo di questa alle novità del mercato, è funzionale quanto potrebbero esserlo delle valanghe lanciate dall’alto di un picco di interesse relativo, per la facilitazione di pochi, specifici, obiettivi, che per mantenersi stabili richiedono un rastrellamento della complessità sociale a valle, delle sue potenzialità. Ogni passo di quest’ultima per l’autodeterminazione costituisce un’ombra di rischio di perdita dell’aura di quei piccoli orchi che giocano a lanciare neve al sole dal parlamento.

Così, mentre “i nostri” ministri e promotori del made in italy collaborano con governi repressivi africani e mediorientali (e questa sì che è una componente razionale e marcatamente progressista del loro posizionamento verticista in collaborazione con imam del business di materie prime e con l’accelerazionismo capitalista cinese, posizionamento che trova in città come Dubai e Shenzen il coronamento “già qui” delle proprie ambizioni ad un potere meccatronico e ultramiliardiario), si può dedicare la propria disperazione agli attentati avvenuti nei nostri luoghi di svago compiuti da cellule terroristiche formatesi nelle nostre prigioni, e insieme sentirsi risoluti ad attribuire questa pericolosità ideologica, che è poi piuttosto randomica, alla tendenza criminale di “stranieri” che si fanno rivoltosi cercando di interrompere una prassi sistemica che li sottopone a condizioni insane di sussistenza, a un controllo cronometrico dell’aria che possono respirare e alla cessione delle proprie capacità di integrazione a uffici il cui personale, spersonalizzato, non oserebbe nemmeno discutere della propria passività in questa filiera di certificazione di uomini.

 

#CPR #capitale umano #flussi mercantili